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02.03.2013 - REDAZIONE

Valle Argentina: l'orgoglio di Carpasio, il museo che racconta una storia viva

Ogni paese arroccato sulle montagne del ponente ligure ha una storia tutta sua da raccontare: a meno di due mesi dal 25 aprile abbiamo scelto di raccontare quella di Carpasio e del suo gioiello più raro, il Museo della Resistenza. La storia della Storia parla di un passato prossimo che sembra già leggenda; la realtà è un paese magnifico, d’inverno come d’estate.

I partigiani erano ormai accerchiati, nascosti nel bosco di Rezzo - il Bosco nero, ci si perde nel folto ancora oggi, una reliquia vivente - e nei dintorni: murati negli sgabuzzini delle case, sepolti in buche scavate nel terreno e ricoperte di foglie, nelle grotte, erano qualche centinaia allo sbando, senza collegamenti, ai primi di settembre del '44, in attesa dei nazisti e dei bersaglieri repubblichini. Che avevano organizzato nei dettagli il rastrellamento per fare piazza pulita dei ribelli, particolarmente minacciosi perché operavano sul confine con la Francia (e poco prima avevano osato fondare una repubblica indipendente a Pigna e Castelvittorio, paesini delle valli vicine).

La brigata Garibaldi "Felice Cascione" partì con due mortai presi al nemico dall'alto del Monte Grande, mentre il distaccamento Garbagnati - 17 uomini contro 500 - aspettava al riparo del Bosco nero. Ora era il nemico a trovarsi accerchiato o, almeno tra due fuochi. Liberare quei compagni di molte battaglie, marce forzate nella neve alta, notti al gelo e fettine trasparenti di pane condiviso, non era solo un dovere o una necessità strategica. La battaglia di Monte Grande durò due giorni, a ruoli invertiti: i partigiani attaccavano e i rastrellatori si difendevano. Con accanimento, sino all'assalto finale, alla fuga, alla salvezza dei partigiani nascosti. Poche armi e molta determinazione, pochi uomini e tanto cameratismo - ché non sarebbe virile parlare d'affetto in questo contesto - un finale quasi all'arma bianca, con grandi perdite da parte del nemico.

È un episodio dei tanti avvenuti in tutta Italia, i protagonisti sono famosi soltanto qui, sui loro monti, perché Felice Cascione, il giovane dottore che compose Fischia il vento, era già stato ucciso; Italo Calvino - Santiago si chiamava da partigiano - stava difendendo Baiardo; il comandante Erven - Bruno Luppi, se ne riparlerà - di cui Calvino scrisse più volte, era ferito gravemente; ma è bello e giusto cominciare a parlare della Storia con una storia, evocare certe condizioni di vita oggi inimmaginabili.

Perché ne stiamo parlando?

Perché anche la fede nella Patria è ben rappresentata nel ponente ligure, nel cuore di quel territorio che oggi ha preso il nome felice di Alpi Mistiche della Liguria. Un territorio in cui alcune fedi sono nate, altre sono passate e hanno lasciato tracce; un territorio circondato da un'aura di spiritualità quasi palpabile nell'atmosfera, nel paesaggio, nell'incanto delle incisioni e i dipinti rupestri, dei santuari. E tuttavia accade che spiritualità e sangue si mescolino, che la fede venga imposta oppure manifestata - a seconda dei casi - con azioni violente. Che lasciano segni indelebili sui corpi, talvolta, nello spirito, sempre e nella memoria. Che si fa più labile con il passare del tempo. Un paio di generazioni e via, la memoria scompare, incalzata da un presente tirannico.

E questi sono ottimi motivi per distogliere prole - e genitori - dagli sparatutto virtuali e spingerli verso la vita vera, al Museo della Resistenza di Carpasio. Che si trova nel casone rurale dove si riuniva la Brigata Garibaldi, donato dai proprietari per conservare la memoria. L'intera vallata ha contribuito a restaurarlo, ingrandirlo e riempirlo di residuati bellici, mappe, carte, lettere, foto.
È una bella passeggiata da fare in primavera; è una bella storia da riscoprire e raccontare.

Il museo.

Si trova a Costa di Carpasio, una piccola frazione raggiungibile lasciando la Strada Provinciale che unisce Montalto Ligure a Carpasio.
Il casone è a due piani, accanto c'è ancora il castagno cavo, antico e complice che, tra le radici poteva nascondere anche sette feriti. Eh, i miracoli della natura... Per tornare a Calvino-Santiago, viene in mente la complicità degli alberi in Il barone rampante.

Il materiale esposto nella grande sala al piano terra è assai istruttivo: bene in mostra si trova la grande carta topografica con le zone operative delle varie brigate del Comando della 1a Zona Liguria. Farsi un'idea è importante, anche se una passeggiata sino al museo la dice già lunga. Poi ci sono le divise originali, l'automatica Sten, i Mauser e il terribile Mayerling - capace di sparare 2000 colpi al minuto - in dotazione all'esercito tedesco, armi leggendarie, e le lanterne che illuminavano i sentieri ai partigiani nel buio della notte. La sala è arricchita da documenti e fotografie, che offrono un quadro pressoché completo della vita e dell'ambiente ligure. Particolarmente significativa la motivazione della Medaglia d’Oro concessa alla Provincia di Imperia per l’attività partigiana.
L'esposizione nella sala superiore parte dai contenitori di armi paracadutati ai partigiani dagli alleati, cassette che contenevano armi e cartucce, rottami di un aereo tedesco caduto, pezzi di una camionetta recuperata al passo Teglia, ricetrasmittenti da campo e altro materiale ancora.

A contatto con il passato basta lasciar correre la fantasia e immaginare una guerra impossibile: a piedi o con qualche mulo, contro blindati, auto, moto, cavalli, bombardieri e mitragliatori; senza ripari e cibo, contro caserme e rancio garantito; con pochi informatori, contro molte spie. Il sistema di comunicazione è molto interessante oggi: staffette e qualche apparecchio radio.
Apertura e orari: da aprile a ottobre, sabato/domenica e giorni festivi, ore 9-18 (nei feriali su prenotazione). Ingresso gratuito. Aperto nei giorni: 25 aprile, 1 maggio, 15 agosto, 1 novembre. Per informazioni e prenotazioni visite individuali: Museo tel. 0184 409008. Per prenotazioni visite di gruppo ed eventuale accompagnamento: Segreteria dell'Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea 0183 650755.

Approfondimenti sul Museo della Resistenza: http://www.isrecim.it/it/museo_carpasio.cfm

Suggestioni: il Comandante Erven.

Italo Calvino la sua Resistenza l'ha raccontata: aveva vent'anni, suo fratello Floriano diciotto, portavano rifornimenti. Il che non toglie loro un grammo di eroismo, ma appunto, i suoi racconti li ha già pubblicati. Tra cui uno sul Comandante Erven e le sue battaglie.

Bruno Luppi, classe 1916, modenese, padre antifascista, primo arresto a 19 anni, quando esce si trasferisce a Taggia e inizia – ovviamente - a frequentare la cellula comunista di Sanremo. La seconda volta sono i tedeschi a prenderlo, nel '43, ma riesce a scappare, raggiungere Roma e combattere a Porta San Paolo. Figurarsi se qualcosa riesce a fermarlo: eccolo di nuovo in Liguria, con il nome del fratello Erven, morto anni prima in un incidente, a mettere su il CLN locale. La 9a brigata Garibaldi - poi intitolata a Felice Cascione - viene fondata nel casone di Carpasio. E non solo quella. Ma i partigiani vivevano alla macchia, non nei casoni. Nel '44 Erven ha il tempo di partecipare all'assalto alla caserma di Badalucco, alle battaglie di Castelvittorio e a quella di Sella Carpe. Poi, proprio in quest'ultimo posto, a luglio, partecipa all'assalto a un convoglio tedesco e viene ferito molto gravemente a una gamba. Da allora la sua resistenza sarà una lunga fuga - senza tuttavia l'abbandono del ruolo di commissario politico - con un paio di compagni, in condizioni impossibili. Alla fine della guerra pesava 38 kg, racconta il figlio Paolo.

Che cosa ci piace di Erven in particolare? L'immensa statura morale che si scopre leggendo Saltapasti, un romanzo introvabile se non in qualche biblioteca o a Carpasio. A leggerlo - è l'autobiografia di Erven vista dal suo cagnetto Saltapasti, dall'inizio della clandestinità da ferito sino all'immediato dopoguerra - si capisce perché Calvino non abbia nemmeno provato a pubblicarlo. È un romanzo antiretorico - e questo ci stava - che parla di un uomo intelligente e compassionevole, che scrive poco di battaglie e pallottole, molto della vita del partigiano e della solidarietà dei contadini, ma soprattutto, in due brani significativi, della compassione per il nemico e del nemico. La prima volta, quando i tedeschi sminano un casone dopo che l'ufficiale ha sentito il vagito di una neonata e se ne vanno; la seconda, quando Erven e il prete di Castelvittorio salvano quattro soldati tedeschi dal linciaggio, perché siano portati in giudizio. Ma il peccato mortale di Erven è stato descrivere realisticamente il dopoguerra, che non si è rivelato un mondo migliore, ma un mondo non abbastanza diverso da quello precedente, con gli stessi perdenti di sempre. Compreso Saltapasti, che finirà alla catena, in montagna, a fare la guardia, mentre il suo amico trascorrerà un tempo infinito in ospedale.

«È un bene che i luoghi e le persone che hanno vissuto e combattuto in quei luoghi, e che hanno riportato la democrazia e la pace, non vengano dimenticati» dice Paolo Luppi, magistrato, figlio di Erven, che tuttavia preferisce passeggiare per i boschi che hanno protetto il padre. «Oggi i giovani potrebbero chieder loro: ma che Italia avete costruito? Rispondo che hanno costruito un'Italia in cui si può fare questa domanda. E che i valori della Resistenza sarebbero retorica se non vivessero nella realtà della Costituzione e nell'impegno di tanti ancora oggi a difenderne i valori, come l'articolo 11, il principio di uguaglianza, la difesa della scuola pubblica. E soprattutto voglio ricordare - mio padre ne parlava sempre- che questa Nazione non è stata costruita soltanto dai Partigiani: senza la gente comune, i contadini, i preti che hanno rischiato la vita, la Resistenza non avrebbe vinto».

Il sindaco di Carpasio, la Costituzione e il Museo.

La Costituzione della Repubblica Italiana è bene in vista sulla scrivania di Valerio Verda, Sindaco di Carpasio che ha rinunciato all'indennità perché ha un lavoro retribuito correttamente e non ne ha bisogno, preferisce lasciarla alla comunità. Report voleva intervistarlo per questo, ma a lui non è sembrato il caso. L'atto, pubblicizzato, avrebbe perso il valore simbolico.

Sono fatti così i figli e i nipoti di chi ha combattuto sulle montagne. Non tutti è pur vero, ma la responsabilità è di chi non ha saputo tramandare, né i valori della Resistenza, né quelli della Costituzione che troneggia su quella scrivania come un oggetto sacro o un bene rifugio per i momenti di sconforto. Probabilmente anche come ammonimento: «Da qui non si muove mai» dichiara Verda «sono un cultore della Costituzione, nata dall'esperienza e dalle menti che hanno combattuto la Resistenza».

Di recente a Carpasio è nato anche il museo della Lavanda e l'arguto Sindaco non ha esitato a approfittarne per convogliare visitatori al casone in montagna, con una formula di biglietto economico per chi faccia le due visite: «Questo museo è costato tanto impegno e tanta fatica, per mantenere la memoria della popolazione civile, non solo quella dei partigiani» racconta Valerio Verda. «Ne siamo orgogliosi, è una testimonianza concreta e tangibile di sofferenze terribili: fame, freddo, civili torturati, donne violentate... la memoria non si è persa qui in valle. Una visita al museo, grazie alla cartografia, agli oggetti, alle fotografie e ai testi, permette di ricostruire la storia della Resistenza come una storia viva».
I visitatori sono tanti, qualche migliaio in tredici anni. Sarebbe bello arrampicarsi fin lassù d'inverno, tanto per farsi un'idea ancora più precisa. Ma è chiuso perché nevica quasi sempre e l'esperienza di Erven diventa oggi quasi irripetibile.

Carpasio, il fascino e la memoria

Basterebbe la vicenda storica di Carpasio per capire la particolarità di questo luogo. Infatti l’abitato e il suo territorio non sono mai stati politicamente legati alla valle Argentina, bensì alla valle del Maro, a Levante, al di là dello spartiacque. Perché “le montagne uniscono, i fiumi dividono”. È così che qui si ritrova una Liguria occidentale senza tempo con una ruralità profonda, un tempo ciclico legato ai fatti della campagna e della pastorizia. Qui si salda un rapporto che trova nel pane d’orzo, la “Carpasina”, un simbolo di transumanza. Conservabile, ammollato in acqua, insaporito, un tempo povera risorsa e oggi ricercata specialità. Il complesso chiesa parrocchiale-oratorio di origine medievale e ricostruzione barocca emerge dal grumo di case ancora coperte da lastre di pietra. Ancora una volta a Carpasio c’è una Liguria che non vi aspettate.

Approfondimenti: http://www.alpimistiche.it/percorsi/borghi/20/carpasio-fascino-e-memoria

Da non perdere a Carpasio: http://www.alpimistiche.it/punti-di-interesse/comuni/20

Ospitalità a Carpasio: http://www.alpimistiche.it/ospitalita/all/20

 


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