Da mesi non mi addentravo nel mercato del venerdì che dicono sia uno dei più grandi d'Italia. Ieri, per caso, dopo un breve giro tra le bancarelle sono rimasta esterefatta. Ho avuto l'impressione di trovarmi in una grande metropoli dove i gruppi multietnici superano in numero gli abitanti locali. Ho trovato un mercato di extracomunitari. Niente da dire. Tutto in ordine, in regola. Ho comprato un ombrello da un commerciante cinese e ho avuto in mano una fattura fiscale. Ho pensato: "sta cambiando tutto, tranne l'afflusso dei francesi, sempre più attratti dagli ambulanti stranieri e dai prezzi "stracciati".

La signora Roberta Scalisi di Torino ha acquistato una maglietta da un ambulante cinese. Ieri, nonostante il freddo, al mercato del Venerdì la clientela non mancava. «In negozio, per una maglietta avrei speso almeno 30 euro - mi spiega Roberta- invece l’ho pagata otto. Non è di buona qualità, ma per finire la stagione va benissimo». Forse sta qui il nodo del problema che fa dire ai commercianti di confine che al mercato «ci sono troppe cineserie»: oggi più di ieri va di moda l’economia dell’usa e getta.

Back Aruk è indiano, vende abbigliamento da dieci anni: «Se c’è crisi e la gente non ha lavoro soldi da spendere non ce sono. Questo è il problema. Anche per una cosa da tre euro mi chiedono lo sconto. Non mi chiedono invece se è roba cinese o italiana: se piace e costa poco, allora va bene». A pochi passi , anche un ambulante cinese vende abbigliamento. Non vuole dire come si chiama, e non ricorda quanto ha pagato la piazzola, anche se è arrivato a Ventimiglia solo un anno fa: «Qualità? Cinese c’è buono e c’è cattivo - spiega - e se i negozi vendono una maglia a 50 euro non è colpa mia. I prezzi bassi servono a vivere bene».

Ecco che cosa è diventato il mercato del Venerdì.